martedì 26 febbraio 2008

La leggerezza del cuore passa per la pancia

Negli ultimi decenni, il nostro rapporto con il cibo è cambiato radicalmente fino a snaturarsi. Si è trasformato in automatismo senza attenzione alla qualità.

Mangiamo in fretta e d'istinto. Non diamo più importanza alla differenza tra cibo fresco e surgelato; tra una cottura tradizionale e una al microonde. Nonostante la "perfetta" e funzionale alimentazione tecnologica, il nostro organismo si accorge sempre che cerchiamo di ingannare il palato invece di dargli il nutrimento di cui ha bisogno, preparando il terreno per ogni sorta di malattia. E' un mangiare condizionato dalla pubblicità e dall'abitudine, che favorisce l'obesità e di conseguenza la cultura delle diete estemporansee, delle costose pillole guarisci tutto e delle mutande plastificate per far sudare: il modello di vita americano si sta affermando anche nel modo di mangiare!

La tendenza della nostra civiltà a produrre obesità è il risultato di una cultura del consumo fine a se stesso che ha ridotto il nostro corpo a una macchina, contenitore di oggetti, che vogliamo avere, incorporare e trattenere a tutti i costi per riempire profondi vuoti esistenziali.
Oggetti sono i cibi, oggetti sono i farmaci, oggetti sono diventate anche... le nostre emozioni! Piacere alimentare e piacere affettivo-emozionale, che hanno i loro centri collocati nelle stesse aree del cervello, spesso si scambiano le funzioni, invadendo l'uno il campo dell'altro, pur di riempire un vuoto! Il godimento della leggerezza della vita, in un mondo dove anche il piacere sessuale è virtuale, è stato sostituito con il godimento della pesantezza del cibo.

Abbiamo dimenticato che alimentarsi non significa solo introdurre cibo nell'organismo per permettere al nostro fisico di tirare avanti o per compensare carenze esistenziali ma immettere parte del mondo che ci circonda. Quel che mangiamo nutre anche le cellule del nostro cervello, rendendo possibile la sua attività e quindi la nostra coscienza.
La massima che "come si mangia, si diventa; come si diventa, si pensa; come si pensa si vive", è forse la cosa più vera che sia mai stata detta.

Dovremmo ricordarci, più spesso, che quando mangiamo introduciamo emozioni non solo nostre, ma anche di chi abbiamo accanto, di chi ha cucinato, di chi ha prodotto il cibo e dello stesso animale ucciso.

In un'epoca in cui sì da tutto per scontato, l'atto quotidiano del nutrirsi ha perduto il significato profondo che da sempre accompagna il cibo sulla tavola dell'uomo.
Si è perduto, soprattutto, ogni senso di ringraziamento; tutto ci spetta, sempre e comunque. L'uomo prende, prende, prende in continuazione: dalla terra, dal sole, dagli altri esseri e non riconosce il suo debito.

Se vogliamo riscoprire la bellezza della leggerezza del nostro corpo, ricordiamoci anche quella della nostra mente e del nostro spirito, perché il segreto di una sana alimentazione non è semplicemente nelle calorie o nelle vitamine; consiste piuttosto nella capacità di alimentarci non solo con i sapori, ma anche con le vibrazioni del cibo, degli alimenti che assumiamo, delle influenze dell'ambiente che ci circonda e delle nostre buone o cattive abitudini.

Ogni forma di vita non può essere contemplata solo con l'occhio fisso alla lente di un microscopio, ma compreso come qualcosa che supera la semplice somma di luce, acqua e calore.

Una consapevolezza di questo tipo è già una grande medicina che può aiutare a farci scoprire la bellezza della leggerezza interiore, per superare tanti paradossi della vita moderna e trovare il vero rapporto cibo-uomo.
Gabriele Bettoschi

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