lunedì 4 febbraio 2008

DIETA E CARDIOPATIA

DIETA E CARDIOPATIA
DIETA E CARDIOPATIA

La correlazione tra cardiopatia ed alimentazione da sempre hanno assunto un rilievo importantissimo, basti pensare che la patologia cardiovascolare insieme con quella oncologica ed all’infortunistica stradale, costituiscono il 55% delle cause di morte prematura. Per intendere l’importanza del ruolo della dietoterapia in questa patologia si può tenere in considerazione l’andamento della mortalità osservata negli Stati Uniti d’America, dove un’adeguata campagna di educazione alimentare ha ridotto l’incidenza di mortalità, in soggetti di età compresa tra i 35 e 74 anni, del 25% mentre gli ictus cerebrali sono diminuiti addirittura del 35%. Si è potuto osservare che nell’arco di un anno, oltre 200.000 persone in più sono rimaste in vita e quasi 100.000 casi di morte per infarto del miocardio sono stati evitati. Tali dati sono attribuibili al fatto che nel corso soprattutto dell’ultimo ventennio la popolazione americana ha modificato in modo progressivo, ma sostanziale, alcune radicate abitudini di vita. Dati sui consumi abituali hanno messo in evidenza che tra il 1960 ed il 1980 si è osservata una diminuzione del consumo di burro di circa il 40% e di poco meno dell’80% di strutto di maiale. Altro fattore che ha contribuito, nello stesso periodo, è stato anche il minor consumo di sigarette e l’incremento dell’attività fisica.
La più frequente cardiopatia è sicuramente quella ischemica. Essa è la conseguenza di svariati meccanismi fisiopatologici, che grazie ad alcune caratteristiche peculiari, determina un’anomalia del funzionamento cardiaco procurando un danno vascolare. Tale danno comporta una riduzione critica del flusso coronarico in modo temporaneo o in modo persistente (infarto del miocardio).

La causa più frequente di ischemia miocardica è l’aterosclerosi coronarica. Infatti, che la concentrazione ematica di colesterolo sia un fattore di rischio importante per l’insorgenza della cardiopatia coronarica è nozione ormai abbastanza diffusa e consolidata. Il colesterolo si trova nel sangue in forma libera (30 - 40%) ed esterificata (60 - 70%). Il colesterolo totale nell’adulto ha valori normali di 150 - 200 mg/100ml, valori che sono, normalmente, lievemente aumentati nella donna durante la gravidanza, l’allattamento e durante le mestruazioni. Particolare rilievo assume la distinzione tra colesterolo LDL (low density lipoprotein) e HDL (high density lipoprotein), il primo, chiamato colesterolo cattivo, entra nelle cellule; l’HDL, quello buono, svolge funzioni protettive antiaterosclerosi. In condizioni normali il colesterolo LDL è inferiore a 200 mg/100 ml, mentre per quanto riguarda l’HDL valori normali sono per l’uomo maggiori di 35 mg/100 ml e per la donna di 45 mg/100ml. Si è potuto dimostrare che valori di HDL inferiori a quelli citati aumentano il rischio cardiovascolare, mentre se superano tali livelli il rischio è meno probabile. Altro valore preso in considerazione per valutare il ricambio lipidico è la trigliceridemia. Corrisponde ai grassi neutri che rappresentano i grassi di riserva dei tessuti e si trovano in scambio costante con quelli circolatori. In condizioni normali si hanno valori di 74 - 170 mg%; in condizioni fisiologiche aumentano in seguito a pasti ricchi di grassi e nei soggetti con disturbi glicemici. Dati recenti confermano il ruolo della colesterolemia nella predizione degli eventi coronarici e ne documentano il valore predittivo anche nei riguardi degli accidenti cerebrovascolari e della mortalità per tutte le cause. Il legame tra colesterolo e cardiopatia ischemica è stato accertato da almeno tre studi di popolazione:

l Framingham Heart Study
Il Pooling project
L’Israeli prospective study


Questi studi dimostrano che la mortalità sale per livelli di colesterolemia superiori a 200-220 mg/dL. Nel Multiple Risk Factor Intervention Trial (MRFIT) oltre 356.222 uomini di 35-57 anni sono stati seguiti per 6 anni ed è stata messa in evidenza una relazione positiva e curvilinea tra colesterolemia e mortalità coronarica. Altri studi confermano queste evidenze indicando una diminuzione chiara e consistente nel rischio di cardiopatie ischemiche (25-30% nella popolazione di anni 55-64) dopo cinque anni di riduzione del colesterolo nel siero di 0.6 mmol/l (circa 10% per il colesterolo totale e 15% per il colesterolo a bassa densità di lipoproteine -LDL). Uno studio del National Reseach Council riporta che una diminuzione del 10% del colesterolo ematico produce una diminuzione del 20-30% delle morti per malattie ischemiche del cuore. Tale riduzione può essere ottenuta attraverso modesti cambiamenti dell'alimentazione, dovrebbe essere sufficiente una riduzione del grasso totale nella dieta dal 42 al 35% circa dell'assunzione totale di energia o una riduzione di grassi saturi dal 20 al 13% circa. L’assunzione di grassi saturi, infatti, determina dal 60 al 80% della variabilità del colesterolo ematico.

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